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L’ultima volta che ci siamo visti eravamo a Roma. Zona Barberini. Ci siamo accomodati nei tavolini all’aperto di un bar per berci un caffè, e mentre iniziavamo a raccontarci, a fianco a noi avveniva una sorta di tragedia napoletana (ma recitata in romanesco) con una donna grassa e arrogante che urlava al telefono contro un’altra donna che se ne era appena andata, minacciandola verbalmente e fisicamente. Nonostante questo clima surreale, io e Michael abbiamo distolto lo sguardo, ci siamo avvicinati, siamo usciti dalla tragedia ed entrati nel nostro film, molto più serio e introspettivo, fatto di contenuti originali, di rapporti familiari, di aspettative e di sofferenza creativa.
“L’ambizione parte dalla sofferenza. Perchè tutto parte da un vuoto.
Quando sto bene, non mi serve niente.”
Michael. Attore. 26 anni. Ha la capacità di farti sentire parte di qualcosa di importante. Mentre gli parli lui riflette e ti permette, se ne hai la fortuna, di connetterti con lui e con il suo pensiero. Che è un pensiero creativo molto complesso e mai banale. Lui non recita con nessuno. Lui è quello che vedi. Perchè è già nel suo film, che si chiama vita.
Gli chiedo cosa sia per lui il successo.
“Non per forza il successo deriva dal lavoro. Mio padre mi ha insegnato una cosa: ‘quando fai le cose, falle con amore; indipendentemente da quello che tu fai’. E comunque cambia l’approccio, se lo fai con amore. Ma in questo momento per me il successo è stare bene. Io sono da solo a Roma. Vivo in una stanza. Ma mi organizzo la giornata, i tempi, gli impegni, cercando di pianificare il successo. Cercando di pianificarmi lo stare bene. Ho veramente tanta voglia di vivere.”
Che bello sentire da un ragazzo una frase del genere. Sembra banale, ma non lo è. Soprattutto se consideriamo che il percorso creativo è fatto di alti e bassi, di grandi felicità, ma anche di grandi sofferenze.
“Come vivo tanto bene gli alti, vivo altrettanto molto male i bassi. Gli estremi sono estremi da entrambe le parti. Mi sono letto un libro che si intitola Succede sempre qualcosa di meraviglioso di Gianluca Gotto che affronta la tematica della morte con un punto di vista sofferente non occidentale ma orientale, e mi ha aiutato ad affrontare certi momenti in un modo molto semplice. Quando sto male, quello che faccio è starci, quindi rispettare il momento. Non devo per forza andarci contro. Non è sempre semplice, anzi, però mi riconduco sempre a me stesso e comincio a cercare il bello fuori. E quello mi fa stare bene. Io vivo a Roma. Mi basta uscire, passeggiare. Tanto da pensare che è impossibile restare tristi a Roma. Ma la solitudine estrema la sto conoscendo adesso. Una grande solitudine. Che è meglio di quella che vivevo in mezzo alle persone. La soluzione alla solitudine non è mai quella di circondarsi di persone. Anzi. Bisogna anche capirla. Per me, sarà una sciocchezza, ma mi aiuta stendermi. Non sul letto. Ma per terra. Sentire il peso del corpo sul pavimento e respirare. Perchè dai fallimenti non cerco alibi. Ogni no, ogni esclusione è un pretesto per fare meglio. Insomma. Alla fine nel mio mestiere, in un certo senso, la sofferenza mi aiuta. Mi fa fare dei percorsi molto profondi. Scrivo. Molto. Qualsiasi cosa che mi viene in mente io la scrivo. Perchè la sofferenza esiste come esiste la serenità. E come tu accetti la felicità, devi accettare anche la sofferenza. Senza il buio non c’è la luce. Sono un pò parole del c***o perchè nei periodi di buio non puoi attendere la luce… perchè non la vedi.“
Io credo che questa analisi debba essere uno straordinario spunto di riflessione per tutti quelli che pensano scioccamente che la sofferenza sia solo un male. O che pensano che la vita sia solo ricerca spasmodica e scomposta della felicità per 365 giorni all’anno. Io credo che parlare di sofferenza, di malessere, di solitudine in questi termini, sia estremamente importante e drasticamente liberatorio. Io credo che Michael abbia saputo trattarli con lucidità dando valore a questi aspetti che spaventano adulti e ragazzi facendoci comprendere quanto ne sia importante l’accettazione. Ma soprattutto un ragazzo di 26 anni che usa il termine bellezza per sconfiggere la sofferenza diventa una speranza per tutti quei ragazzi che dalla sofferenza non riescono ad uscire perchè incoscienti di trarne dei vantaggi nel ripartire.
Gli chiedo se crede che il talento sia in ognuno di noi.
“Assolutamente si. E mi viene da dire che forse ne abbiamo più di uno. Intanto dobbiamo avere l’opportunità di scoprirlo. E l’opportunità purtroppo non ce l’abbiamo tutti. Dipende anche da contesto in cui nasci. Con chi nasci. Che valori ti vengono trasmessi. Noi, nella nostra società abbiamo spesso una strada già scritta. Fai la materna, le elementari, la scuola media, le superiori e poi ti trovi un lavoro o ti iscrivi all’università. E il tempo è sempre pieno. Quello che ti insegnano è giocare e poi studiare. E tante volte davvero manca il tempo per provare. Perchè poi c’è l’adolescenza dove ci sono cambiamenti importanti, e così si arriva ad un’età nella quale ti ci trovi senza averti fatto troppe domande. Ma fuori c’è un mondo e la nostra capacità fondamentale è di essere in continuo cambiamento.”
Più di uno spunto di riflessione.
Perchè possiamo avere più di un talento. Tanti piccoli talenti che riconosciamo nel corso della nostra vita. O nuovi talenti. Come sottolinea Michael siamo in continuo mutamento e con lo studio, la formazione, le esperienze possono nascere nuovi talenti che fino a prima non avevamo la più pallida idea di possedere.
Ma è il tempo la chiave di lettura. Il tempo che spesso non ci dedichiamo. Il tempo per capirci, per scoprirci, per ascoltarci. Sempre presi da mille obiettivi. Ecco, iniziamo a fare qualcosa per noi senza un obiettivo chiaro. Come scrivere interviste sul tema del talento e scoprire di avere il talento di riconoscere i talenti…
Così gli chiedo quale sia il suo di talento e se l’ha riconosciuto.
“Il mio talento… Non so quanto sia giusto riconoscerselo. Ma sono entrato nella Scuola d’Arte Cinematografica Gian Maria Volontè che è l’accademia più prestigiosa d’Italia. Di solito prendono chi ha talento…quindi(sorride). Però per assurdo io sono molto attratto da quello che non so fare. E forse il mio talento è proprio la curiosità, quella necessità di mettersi in gioco e di voler riuscire a fare sempre cose nuove… e meglio degli altri.”
Michael è un fiammifero che arde da entrambi i lati.
È in parte bambino, sognatore, che nonostante le difficoltà in famiglia, la continua a nominare (soprattutto il padre, ma schierato dalla parte della madre).
È ovviamente un ragazzo, che sogna e si risveglia in continuazione.
È anche un uomo, incattivito da esperienze pesanti, ma saggio da amare la vita.
È anche un vecchio, con tante cicatrici che accarezza senza rammarico.
Io l’ho conosciuto. E ne sono onorato.