“Dopo quattordici anni siamo a nostro agio con quelle che sono le day to day decision e quelle a lungo termine su come sviluppare nuovi progetti. I primi sette, otto, nove anni sono stati una battaglia quotidiana con un management che cambiava continuamente. Non solo con un concetto nuovo che non esisteva nei bar, ma anche nel concetto del business dove si cercava un quick return che non contemplava un approccio innovativo come quello che avevamo in mente di attuare.”
Mi collego alle 16:00 (ora italiana) al Connaught Bar di Londra che è considerato il miglior bar del mondo: parola di Mark Sansom, Content Editor per l’associazione The World’s 50 Best Bars (fonte Vogue Italia)
Ago: “Il Connaught Bar è uno stile di vita. Se lo abbracci, ne fai parte”
Il confronto sul talento a cui tengo particolarmente è con Ago Perrone (Director of Mixology) che ha accettato di condividerlo anche con Giorgio Bargiani (Head Mixologist) e Maura Milia (Deputy Bar Manager). Perchè se esiste un talento più grande di ogni personale talento, quello è il talento condiviso.
Ago durante il suo primo intervento sottolinea la mole di lavoro, l’impegno e la pazienza che hanno permesso di raggiungere certi obiettivi. E questa è già una lezione per tutti quelli che mirano al successo facile, che pensano che si possa diventare grandi senza fatica, senza una lotta serrata a difesa delle proprie idee imprenditoriali e non.
Gli chiedo qual’è il suo talento.
“Saper riconoscere quali sono i punti forti di una persona che fa parte del tuo team e dargli delle direzioni, delle leverage, su come fare forza su quelli. Se poi è un talento o no, quello non lo so…., ma mi piace condividerlo. Probabilmente il punto è saper fare un’ autovalutazione della propria carriera o del punto in cui si è, e saperlo condividere. Tornando alle dinamiche del Connaught Bar, quello che ci rende felici tutti i giorni non sono gli ospiti dell’albergo che prenotano una stanza per i nostri cocktail, ma vedere i ragazzi che crescono, che diventano responsabili. Non basta il 20% di più in revenue ogni anno, ma una cultura che diventa sempre più contagiosa.
La cosa straordinaria che mi capita di riconoscere a certi livelli, è l’intangibilità non monetizzabile che contraddistingue il successo. Chiedo a tutti loro se hanno la percezione del livello di successo raggiunto negli anni.
Ago mi risponde così: “Guarda, il Connaught Bar è come un cocktail a vari ingredienti. Abbiamo il bar pieno tutti i giorni di gente bellissima, abbiamo il riconoscimenti delle associazioni dell’hospitality, riconoscimenti da GQ e Vogue, un team motivato. Tutto che tiene la fiamma accesa per trovare ogni giorno lo stimolo per fare meglio.”
Interviene Giorgio: “Tutto questo che ti abbiamo elencato, non sono legati ad un goal finale, ma ad un not going. Insomma, sarà una frase fatta ma ‘you must enjoy the ride’, goderti il viaggio, è più vero che mai. Tant’è che abbiamo percepito il successo alla vittoria del primo 50 Best, senza per questo passare 365 giorni a pensare di rivincerlo l’anno dopo”.
Ritorno a Giorgio Bargiani e alla sua cadenza toscana che non cerca di mascherare (a differenza di noi veneti che faremmo di tutto per nascondere la cantilena). Si riconosce il talento di far ridere la gente. O meglio, a parlare di talento gli sembra fin troppo arrogante, quindi preferisce definirlo il suo obiettivo. E continua:
“Dalla parte di mio padre hanno sempre cercato di impressionare, talvolta in modi bizzarri. Ma in effetti, come lasci una memoria in qualcuno se non con la tua personalità e il tuo modo di fare?”.
Giorgio ha senz’altro uno dei talenti più genuini che un uomo possa avere. La capacità di portare leggerezza attraverso una battuta, un sorriso, una risata.
Chiedo a Maura cosa li tiene legati tra di loro: “Siamo molto diversi. Davvero molto diversi l’uno dagli altri. Ma c’è una cosa che ci accomuna. È la passione e il senso di appartenenza che ci fa diventare un unico elemento distintivo del Connaught Bar.”
Maura parlando di se e dei suoi talenti dice: “I’m a people person. Mi piace stare col team, mi piace stare con i clienti, fare gruppo. Mi piace relazionarmi e questo credo sia il mio vero talento. Ma credo che più che dover avere l’ansia di riconoscere in fretta il talento, come un pò ci veniva inculcato dalle generazioni che ci hanno preceduto, penso sia importante essere veramente determinati a fare di tutto per trovarlo.”
Proprio così. Anche perchè, per riconoscere il proprio talento dobbiamo raggiungere una certa maturità, e molto spesso, questa maturità (parlo per esperienza personale), tarda a venire.
Chiudo il nostro incontro con le parole di Ago: “Io credo che per capire il nostro talento ci sia bisogno di cadere e sbucciarsi le ginocchia, o se vogliamo dirla in maniera più dura, sputare un pò di sangue. Molti ragazzini invece vogliono spesso imitare, senza aver vissuto certe realtà. Queste per me invece di essere delle ispirazioni, sono delle distrazioni. Il mio consiglio è essere concentrati sui propri valori e suoi propri obiettivi a corto e a lungo termine per essere sempre più centrati su se stessi.”
A riguardare la registrazione della nostra chiacchierata, mi viene da sottolineare quanto siano stati tutti straordinariamente disponibili e a costo di ripetermi, voglio confermare che chi ha faticato per raggiungere certi obiettivi difficilmente si atteggia a fenomeno. I piedi per terra, la gentilezza, un pò di tempo da dedicare agli altri, restano una prerogativa che affascina e ripaga.
Grazie ragazzi. Siete stupendi!