“Qual è il tuo talento?” chiedo ad uno dei ragazzi. E lui “Il mio? Non saprei, io non ho talenti.” Inizia così la mia docenza ai ragazzi del Liceo Scientifico e Sportivo Istituto Farina di Vicenza. Ora, che siate un docente, un genitore, un amico, immaginate di dire ad un alunno, a vostro figlio o ad una persona a voi cara: “Mi dispiace, ma tu non hai talenti”. È proprio dalla sensazione di ribrezzo che provo a leggere una frase del genere che voglio dirvi con assoluta franchezza che il talento è in ognuno di noi; e ne ho le prove.
L’amico Fabio Nicolè, presentando il suo progetto “Alleniamo chi Allena”, mi ha invitato a parlare di talento ad una delle classi di quinta superiore. Ragazzi tosti con il mood del vaff****** incorporato a chi vuole “vendergli” qualcosa. Ma fortunatamente io non ho nulla da vendere e nemmeno da insegnare. Parlo solamente di quello che ho imparato dalle persone straordinarie che ho intervistato in questi due anni, notando dagli occhi e dal silenzio in classe che ho la loro attenzione.
“Se pensate di non avere un talento, chiedete conferma agli altri e sarete sicuramente smentiti. Se invece pensate di avere un talento, chiedete conferma agli altri perchè potreste essere smentiti.”
Mi sono fatto uno schema che ovviamente non ho seguito.
Ognuno di noi infatti può tentare di cambiare le proprie attitudini, ma poi finisce per assecondarle, cosciente che dobbiamo essere quello che siamo. Nel bene e nel male.
Così parlo a ruota libera. Parlo del significato di talento, dell’importanza di riconoscerlo al più presto, di quanto importante è alimentarlo con la preparazione, la dedizione e l’impegno. Parlo dell’importanza di riconoscerlo negli altri e del valore fondamentale del confronto. Infatti interagendo con la classe ho scoperto che se chiedo direttamente a qualcuno quale sia il suo talento, la risposta è incerta e molto spesso nemmeno esplicitata, mentre se chiedo agli altri se gli riconoscono un talento, tutto si fa più chiaro e le caratteristiche vengono recepite e apprezzate tanto da lasciare l’interrogato a bocca aperta. Faccio sempre l’esempio della facilità di riconoscere gli errori di una squadra durante una partita di calcio seguendola dagli spalti e di quanto invece sia difficile dal campo. Guardare tutto da un’altra prospettiva infatti, semplifica quasi sempre le cose. So che non è facile, ma chiedere agli altri di identificare il nostro talento non solo ci può essere d’aiuto, ma molto spesso può farci capire come il recepito all’esterno possa essere completamente diverso da quello che noi ci riconosciamo. L’eterna battaglia tra quello che noi ci sentiamo di essere e quello che gli altri vedono di noi.
– Un veloce aneddoto sull’importanza di sapere cosa pensano gli altri di noi. Un bel pò di anni fa fece uno stage nel mio studio di comunicazione e design il figlio di un amico. Alla fine dello stage gli chiesi di dirmi quale fosse l’idea che si era fatto di me. E lui mi disse che ero troppo ambizioso e troppo dispersivo nelle mie idee creative. Niente di più vero tra l’altro. Così dopo aver ascoltato il punto di vista da un ragazzo molto più giovane di me, gli chiesi se potevo dirgli io cosa pensavo di lui. E lui mi rispose di no. Fine della storia. –
Ma torniamo a noi. I ragazzi sono stati stupendi. Curiosi, interessati, critici al punto giusto. Le contestazioni ci sono state. Più sulla forma che sulla sostanza. Nel senso che qualcuno faceva notare che tante possono essere delle doti, più che dei talenti. In questo caso la mia risposta è sempre la stessa: “Perchè? Che differenza c’è?”. Volete chiamarle predisposizioni? Passioni? Doti? Caratteristiche? Per me tutto quello che posso “spendermi” per fare ciò che mi piace e che mi aiuta ad essere quello che voglio essere magari permettendomi anche di pagare le bollette, io lo voglio chiamare talento. In fondo i talenti sono una merce di scambio. In psicologia il talento non è altro che la somma delle capacità di una persona, non solo doti innate, ma anche abilità, nozioni, esperienza, intelligenza, senno, atteggiamento, carattere e iniziativa. Quindi chiamatele come volete. Basta che le ascoltiate.
Un’ora per riflettere sul talento. Per porre l’attenzione sull’importanza di riconoscerlo, in noi e negli altri. Pechè questi ragazzi sono il loro futuro. Non il nostro. Noi adulti, docenti, insegnanti, allenatori, genitori, possiamo riportare esperienze, ritoccare qualche convinzione poco supportata dalla vita. Possiamo ascoltarli, seguire i loro ragionamenti evitando l’errore di pensare di avere capito tutto dalla vita. Dobbiamo esserci. Insegnare senza imporre.
Conclusione: da due anni a questa parte mi sono confrontato con più di 90 talenti attraverso interviste a distanza e di persona. Ho quasi cinquant’anni. Ma se uno di loro mi avesse chiesto qual’è il mio talento, avrei balbettato qualcosa, senza esserne convinto.