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Mi riassume la sua vita parlandomi di ex, di figli, di valori, di rock, di boomer, di zoomer, di cessioni d’azienda e di energia contagiosa. Ed è su questa ultima definizione che mi soffermo. Enrico è proprio una bomba pronta a contagiare il mondo.
Perchè è convinto che siano i “tardivi digitali” ad avere in mano le leve del potere. È convinto che la digitalizzazione salverà il mondo da un processo che per troppo tempo ha tardato ad arrivare.
“È la nostra generazione che deve intervenire. Non sono i millennials. È il cinquantenne, il sessantenne. E noi abbiamo una responsabilità nei confronti dei giovani, perchè noi siamo la generazione che ha fatto i danni nel nostro pianeta. Io non voglio estremizzare e non sono un fanatico ecologista, ma la pandemia ha accelerato un processo di digitalizzazione che va nella direzione di limitare spostamenti inutili. Ci si può incontrare lo stesso per vivere il rapporto umano ravvicinato, ma dobbiamo renderci conto che spostamenti di 6 ore per incontri di un’ora non hanno più senso di esistere. In quest’anno ho conosciuto una marea di persone che non ho mai visto di persona. Quest’anno ho organizzando il TED X negli IBM STUDIOS di Milano in formato “phygital”, cioè fisico l’evento, ma in digitale la trasmissione e abbiamo raggiunto migliaia e migliaia di persone. Se lo avessimo organizzato in sala, avremmo raggiunto le 2/300 persone.”
Come contestare questa visione del futuro? La pandemia ha fermato la terra per un paio di mesi e abbiamo visto la natura riprendersi e rinascere. Non sarà merito solamente dello stop dei mezzi di trasporto, ma sicuramente dobbiamo comprendere come ci sia un dispendio di energia, di mezzi, di tempo e di consumi che spesso non valgono il “prezzo del biglietto”. Ricordo una delle mie prime interviste a Edoardo Molinari a Torino; 8 ore d’auto per un incontro di 40 minuti. Ovvio che lo rifarei, ma è sicuramente un dispendio di energie che avrei potuto risparmiare collegandomi via Skype o via Zoom.
“Ma che cos’è davvero il talento? il talento ha un significato molto soggettivo e non sempre può essere misurato attraverso una performance teatrale, musicale o sportiva, perchè qualsiasi attività che migliora la vita degli altri è un talento. Il talento è vero che è innato, ma molto spesso dipende solo dall’opportunità di tirarlo fuori, di avere l’opportunità di provare e di sbagliare.”
“Il talento è senz’altro in ognuno di noi. Ma chi è degli anni ’60 e ’70 è stato condizionato dal “chi si accontenta gode”,
dal “non sognare”, dal “chi si loda si imbroda”, dal “non strafare”. Ci hanno fatto le palle piccoline e così il talento spesso, per quelli della nostra generazione, viene represso.”
Mi focalizzo sul mio ospite e gli chiedo quale sia il suo di talento.
“Nonostante io sia logorroico, credo che il mio talento sia quello di ascoltare. A me piace moltissimo approfondire, capire, imparare. Sono curioso di natura e voglio comprendere, attraverso l’empatia. E questo mi permette di generare opportunità. In azienda mi chiamano il “rainmaker”, cioè quello che fa accadere le cose, e mi piace che mi sia riconosciuto.“
Enrico potrebbe essere il saggio del villaggio. Me lo immagino seduto attorno al fuoco a raccontare le esperienze della sua vita, a prendersi cura degli altri ascoltando fragilità e spavalderia dei giovani. È energia e allo stesso tempo è la sua calma ad essere contagiosa. Ma soprattutto sono i temi che tratta ad essere filosoficamente pragmatici. Gli chiedo allora, come reagisce alle sconfitte.
“La sconfitta è diversa dal fallimento. La sconfitta, se non va a favore di qualcun altro ma semplicemente l’aver perso mi rode tantissimo. Il fallimento invece secondo me ha un risvolto positivo perchè è un’altra tappa verso il successo. Anche se per me il successo non è denaro. È condividere le passioni con i miei figli, poter aiutare le persone a raggiungere i loro obiettivi. Io sono un grande sostenitore di Adam Grant che divide le persone in takers, matchers e givers. Il mondo prima del web era composto da venditori, da piazzisti. L’evoluzione ha creato dei matchers, cioè ti do in cambio di qualcosa. Oggi dobbiamo diventare givers, perchè bisogna dare incondizionatamente per ricevere inaspettatamente.”
Concordo con Enrico e mi piace questo andamento sociologico che si rivolge sempre di più agli altri, ma so molto bene che per riuscire a godere di questa “missione”, bisogna non aspettarsi nulla in cambio, credendo convintamente che il solo fatto di dare è esso stesso gratificazione fine a se stessa.
Concludo chiedendogli quanto conta la risposta degli altri.
“Negli ultimi sei sette anni, poco. Fino a qualche anno fa invece, avevo la convinzione di dover piacere a tutti. Poi me ne sono fatto una ragione e adesso me ne fotto!”.
Sorrido al saggio Enrico.
Ci vedremo attorno al fuoco, vecchi, stanchi, ma pronti ad imparare sempre e comunque qualcosa di nuovo dalla vita e dagli altri fino all’ultimo respiro.