Mi sembra fosse Ottobre del 2015.
Era il preludio di FAME (un progetto espositivo site specific itinerante partito dalla Fondazione Luciana Matalon di Milano). E fu come una carrambata; due compagni di classe che si rivedono dopo circa vent’anni ad un open studio nella sua casa di Milano. Lei è Monica Marioni, o Amelìh Molinari, o molto probabilmente non è più nessuna delle due.
Infatti, alla domanda su cosa l’avesse spinta a fare l’artista, la risposta è stata più che cosa l’avesse spinta a non accettare un’identità preconcettuale. Perchè lei è un’artista nella psiche, nella forma e nella sostanza.
Credere in quello che fai, perchè siamo quello che facciamo, non quello che abbiamo.
Le chiedo quale sia il suo talento, e, senza esitazioni risponde: “Il coraggio di mollare tutto. Di gettare la maschera. Un compagno da 12 anni conosciuto all’università, una posizione sociale legata all’azienda di famiglia, uno stile di vita agiato”. Enrico De Simone* direbbe “grazie al cazzo”; con le spalle coperte sono capaci tutti… Ma, conoscendo Monica, credo che questo possa addirittura essere l’ultimo limite per quella metabolica trasformazione alla quale (in)consciamente aspira.
“Credere in quello che fai, perchè siamo quello che facciamo, non quello che abbiamo”. Con lei è sempre un piacere confrontarsi. Trasuda delicatezza ed educato rispetto degli altri (o di me in special modo), ma la sua condizione di insofferenza potrebbe spaventare qualsiasi benpensante incapace di guardare oltre. Non è il mio caso, visto che parliamo la stessa lingua.
E, alla fine, concludiamo concordi, che il talento è “riuscire ad essere veri, nel rispetto degli altri”. Prima di salutarla le pongo un’ultima domanda riferendomi alle t-shirt che regalava all’open studio ispirate a quella di Mick Jagger: “CHI CAZZO È MONICA MARIONI?” e la risposta è stata: “CHI CAZZO È DAVIDE LIBRELLOTTO?”
#talentisineveryone