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La mia vita professionale mi ha talmente messo alla prova, che mi capita di diventare saccente e definire le persone con superficialità. L’ho fatto proprio con Sebastiano Zanolli che dopo averlo incontrato a Treviso ad un evento con la Psicologa Maria Rita Parsi, avevo etichettato come il “classico Guru”, definendolo come tale in uno dei miei post.
Ma come spesso accade, si sbaglia, e Sebastiano me l’ha fatto notare con garbata eleganza,
facendomi capire con la sua esperienza e intelligenza, cosa significhi essere
superiori senza essere arroganti.
Così, dopo aver imparato a 48 anni la lezione numero 75.846, ho iniziato a fare le mie domande e a scoprire il suo punto di vista sul talento, partendo dalla sua definizione: “Per me il talento, e ti do una definizione che ho mutuato anche da altri, è qualche attività che tu sai fare eccezionalmente bene, di cui hai traccia anche in altre forme già dalla tenera età, magari anche difficili da identificare durante la naturale evoluzione, e che tu fai con piacere, con tranquillità, e che ti riesce talmente bene che la faresti anche se non ti pagassero.” Su quest’ultimo punto direi che vale la pena soffermarsi perchè, come diceva Alessio Mannino durante un’altra delle mie chiacchierate, in genere si tende a valutare il talento in base alla conversione economica che ne consegue. Quindi apprezzo questa idea che ci potrebbe far riconoscere meglio il talento proprio come lo intendo io, come forma di equilibrio personale proprio attraverso questa distinzione dell’utilizzo del nostro tempo.
Infatti Sebastiano specifica: “C’è sempre un aspetto sociale in cui qualcuno giudica il giusto uso dei talenti”
A questo punto faccio la mia fatidica domanda diretta: “Ma il tuo talento Sebastiano? Qual’è?”
La reazione è come sempre quella di prendere tempo e di rifletterci un attimo prima di rispondere, ma sapendo perfettamente che questo è proprio il punto focale della mia “ricerca” mi risponde così: “Ecco, di solito sono gli altri che ti riconoscono il talento, non è un auto-assessment. Tant’è che da ragazzo ero convinto di avere il talento di scrivere poesie, ma obiettivamente, rileggendole negli anni successivi, erano assolutamente drammatiche. Ma questa cosa del talento è una specie di Giano Bifronte, perchè quando tu hai bisogno degli altri sposti completamente da fuori il metro di giudizio. Ma gli altri chi sono. Per questo in genere servono “giurie competenti”. Ma tornando al mio talento, quello che mi viene riconosciuto da gente capace, è di avere una predisposizione pedagogico-andragogica, cioè essere capace di filtrare dei concetti in maniera che per l’interlocutore siano accettabili”
Questo è certo, ed è il motivo per il quale le aziende lo cercano. Ma secondo me c’è anche un aspetto legato al carisma, cioè la capacità che io confondo per essere innata e che invece mi rendo conto essere frutto di lavoro, competenze, studio e ancora studio. La sicurezza che una persona ottiene nel tempo, e quindi il carisma di farsi ascoltare, può derivare solamente dal sapere. Sebastiano me lo insegna in ogni sua frase, in ogni suo ragionamento. Ci sono tanti libri letti nella sua esposizione e la consapevolezza che tanti altri ne restano da leggere. L’ignoranza è insicurezza infatti. Per questo spesso diventa aggressività. Mentre il sapere porta ad una serafica riconoscibilità delle proprie capacità, e sicuramente, anche dei nostri talenti.
Continuiamo la nostra “conoscenza” (proprio in questo momento riconosco il valore e il significato straordinario di questa pratica; fare conoscenza) che viaggia veloce spaziando dai valori della nostra società all’importanza di non immolare sull’altare della praticità tutta l’immaginazione, e ad un certo punto Sebastiano mi dice: “Non è sicuramente una scoperta particolarmente brillante la mia nel dire che nella vita ci vuole misura, ma ti accorgi che in un mondo dipinto tutto quanto di bianco e di nero così è più facile da vendere, la misura è un atto totalmente rivoluzionario. È rivoluzionario perchè hai la responsabilità di trovarla capendo dove accontentarti nei vari campi. E lo dice uno che ha lavorato per tanti anni e anni Sabati e Domeniche a 16 ore al giorno. Fortunato, perchè io facevo già qualcosa che mi piaceva. Io infatti sono un privilegiato, come se vivessi di Golf, di Calcio. Ma è una cosa rara.”
Lo capisco, perchè è la base del tema che sto trattando. Che lo chiamiamo equilibrio o misura, l’importante è impiegare il nostro tempo nel fare ciò che ci piace e che davvero molto spesso (se non sempre), coincide con ciò che ci viene facile, e quindi che ci viene meglio. E se non possiamo farlo full-time perché questa società non ce lo riconosce come merce di scambio, almeno che la nostra vita sia ripartita in egual misura tra ciò che dobbiamo fare e ciò che ci piace davvero.
Lo interrompo per chiedergli se si sente un vincente o un perdente, sapendo perfettamente che questa rozza semplificazione smuove sempre i nostri animi e le nostra menti: “Le cose su cui mi ero dato degli obiettivi le ho portate a casa, però per fare questo ho perso di vista altri obiettivi che col tempo ti accorgi che avresti dovuto inseguire. Non sono orgoglioso di tutto quello che ho fatto e forse ancora di più non sono orgoglioso di alcune cose che non ho fatto, che è anche peggio, perchè su quelle non c’è rimedio. E molto spesso ti rammarichi di cose che hanno a che fare con le relazioni. Ma trovo il termine e il tema molto delicato e quindi non credo di essere un vincente in termini assoluti.”
Così rincaro la dose chiedendogli come affronta le avversità, o come reagisce alle sconfitte che gli saranno accadute durante la sua vita: “Guarda, io credo sia dovuto proprio all’educazione che ho ricevuto da mia madre, che mi ha trasmesso un atteggiamento che non importa quanto rognosa è la cosa che ti salta addosso, tu hai un dovere morale di superarla o di schiattare mentre la superi. Quindi credo sia una questione educativa, ma non mi è mai concesso abbattermi per nessun motivo; perchè questa è la vita.”
Devo dire che Sebastiano non ti da solo l’idea di trovare soluzioni, ma che averlo vicino è un vantaggio perchè in qualche maniera la farà andare, qualsiasi cosa essa sia.
Conclude: “Come noti Davide, durante tutta la nostra chiacchierata sul tema del talento, c’è una parola che è sempre rimasta in filigrana che è la responsabilità individuale. Perché è questo tipo di mondo che è conformato così, quindi quello che uno deve chiedersi è semplicemente: Ma tu, cosa vuoi?”
Grazie Sebastiano e scusami se ho dubitato.
#talentisineveryone