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Con Matteo Lo Duca abbiamo deciso di realizzare un’intervista un po’ diversa dal solito e di invitare i 170 dipendenti del suo team a collegarsi dalle sedi Luxottica di Agordo e Sedico durante la nostra call. In 148 sono riusciti a seguirci nella nostra missione alla ricerca del talento e per tutto il tempo abbiamo cercato di trasmettere la migliore energia. Perchè questo è l’obiettivo che un dirigente illuminato come Matteo mette a disposizione dei suoi ragazzi. Sarà l’età, ma mi viene da chiamarli ragazzi. O molto probabilmente è la posizione di protezione nella quale lui si pone che me li fa immaginare giovani nella mente, sempre pronti a captare spunti di riflessione e di miglioramento. Certamente qualcuno avrà pensato “senti questi che pippe si fanno sulla questione talento, mentre io ho un sacco di cose da fare” sentendosi magari sottostimato e non riconosciuto del tutto. Mi dispiace se così è stato, ma penso anche a tutti quelli che, dopo il nostro confronto, avranno compreso l’importanza di riconoscere il proprio talento, magari cambiando il loro punto di vista per ritrovare se stessi e un pizzico di equilibrio in più. Se anche il risultato fosse stato uno, comunque ne sarebbe valsa la pena.
“Partiamo dalla parola. Talento è una parola bellissima. Io penso sia un’abilità che fa emozionare te e chi ti sta attorno. Ma non è solo il talento del saper fare. È soprattutto il talento del saper essere.”
“Sono convinto che il talento è in ognuno di noi. Ma prima dobbiamo accorgercene. Dobbiamo smettere di ragionare per stereotipi. È giusto parlare di talento innato, ma non sarà mai vero talento se mancano gli ingredienti magici che poi lo rendono unico. Cioè la passione, il trasporto, l’emozione e la propria identità.“
Matteo ha la capacità di andare dritto al punto. E con poche parole, pesanti come macigni sintetizza il tema: il talento come forma dell’essere e come espressione della propria passione, del proprio slancio emotivo. E come dice Al Pacino in Any Given Sunday alla fine del suo discorso “È tutto qui. Questo è il football”, anche Matteo Lo Duca può affermare con tutta la sua leadership e allargando le braccia: “È tutto qui ragazzi. Questo è il talento”.
Come spesso sottolineo non dobbiamo parametrare il valore del talento alla conversione che questo può tradursi nella vita, perchè ci sono talenti prolifici e talenti addirittura invalidanti. Viverli nel rispetto del giusto contesto però sovverte il risultato.
E su questo molto spesso è determinante il ruolo che ricopriamo.
“Sono due gli elementi.Il primo sta nel riconoscere di essere fuori ruolo e nell’avere l’audacia di dirlo e dichiararlo agli altri. Il secondo sta nell’importanza di avere qualcuno al nostro fianco in grado di supportarci nel cambiamento.Questo, per esempio, è il compito di chi ricopre posizioni come la mia, di grande reponsabilità, dove bisogna avere la capacità e la sensibilità di apprezzare le potenzialità di tutti per ottenere il massimo del risultato. L’esempio che meglio esprime l’importanza del ruolo mi fu chiaro nella squadra di calcio dove iniziai a 12 anni come attaccante. Ero completamente fuori focus, ma ebbi la fortuna di incontrare un allenatore che riconobbe il mio potenziale e, invece di sbattermi in panchina, mi spostò a ricoprire il più nostalgico e visionario dei ruoli: quello del libero ( https://sport.periodicodaily.com/il-liberosimbolo-di-un-calcio-che-non-ce-piu/ ). Se non avessi trovato la persona in grado di riconoscere le mie caratteristiche avrei smesso di giocare a calcio, o avrei fatto panchina per quindici anni sentendomi insoddisfatto.”
È proprio questo il punto. Troppe volte non ci sentiamo all’altezza ed è solo un problema di ruolo. Troppe volte non riusciamo a scoprire il nostro talento, perchè non abbiamo l’opportunità di metterlo a frutto. Troppe volte non veniamo riconosciuti per il semplice fatto che vestiamo i panni di qualcuno che non ci rappresenta minimamente.
Ma visto che Matteo è perfettamente dove dovrebbe e vorrebbe stare, gli chiedo se ha trovato e riconosciuto il suo talento.
“Sono una persona low profile, tant’è che non penso di avere un talento specifico nel saper fare qualcosa. Nella mia matrice dell’identità avevo infatti scritto che mi sarebbe piaciuto essere un artista in senso lato. Ma se devo riconoscermi una capacità, la ritrovo senz’altro nelle soft skills. L’entusiasmo per esempio. Mi piace vivere con entusiasmo e riesco a trasmetterlo. Ho un motto che è una canzone dei Lo Stato Sociale, “bruciare sempre, spegnersi mai” (link). Probabilmente quello di avere sempre la fiamma accesa è un talento. Soprattutto nonostante tutto e in certi contesti. Anche l’empatia è sicuramente una qualità innata che può essere un mio talento e che mi permette di esprimere una leadership autentica. Su questo non parlerei di sfruttare un talento, ma di farlo fruttare. C’è una bella differenza.”
Mi permetto di riconoscergli un altro talento che Matteo non ha nominato. Il talento dell’idealismo. La capacità innata di immaginarsi, attraverso i dati forniti dalla sensibilità, un mondo migliore. Ce lo siamo riconosciuto reciprocamente. Perchè è un talento che si percepisce tra idealisti. In una forma di egoismo costruttivo ed ego smisurato sia ben chiaro, pensiamo che il mondo sarebbe migliore se condizionato positivamente dalla nostra visione. È un talento buono che mi rimanda agli archetipi e alla bellezza di pensare di poter migliorare la nostra vita e la vita di chi ci sta attorno con gesti puri e altruistici.
E questo lo si riconosce senz’altro dalle parole di Matteo a proposito di successo.
“Già il fatto di essere qui con te oggi, a fare questa cosa con il team collegato e con la piena delega per farlo, è il concetto di successo al quale ambivo e al quale riconosco tutta la responsabilità e l’importanza che merita.”
Grazie Matteo Lo Duca. A starti vicino si sente il calore della tua fiamma che arde. Una fiamma amica, anche se appena conosciuta.
Illustrazione dell’artista Cristina Geretto